Ulisse o Nessuno? L'odio dell'espatriato
- Saz
- 5 ott 2014
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 13 feb 2018
E’ arrivato, lo sento, ormai è costante fissa di almeno un paio di giorni alla settimana: è l’odio. L’odio dovuto all’avere sopportato troppo comportamenti e attitudini che ritieni sbagliate, o assurde; l’odio dovuto all’ennesima novità che ti stupisce, in negativo; e anche l’odio dovuto al guardare le cose con occhi diversi, e rendersi conto di non tollerare chi le guarda ancora con gli occhi di prima.
Sarò più chiara: sono entrata pienamente in una delle tipiche fasi di chi si è traferito a vivere e lavorare in un Paese straniero. La fase dell’odio appunto. Vivere all'estero allarga gli orizzonti sì ma a volte fa anche diventare terribilmente accusatori per tutto ciò che è diverso dalle nostre abitudini, vecchie o nuove.
Si odiano non solo cultura e abitudini del Paese nuovo ma pure cultura ed abitudini del Paese vecchio. Sia ben chiaro: casa mi manca, sempre e comunque, ed è a casa che voglio tornare a vivere, lavorare, costruire una famiglia. Perché qua in Inghilterra non posso resisterci ancora a lungo, credo. Di sicuro non qui a Oxford, piccolo gioiello fatto di studenti speranzosi e fastidiosi, e un velo di moralismo che neanche nell’Italia degli Anni 50. Ma ciò che non mi va giù sono proprio le piccole e grandi differenze culturali tra italiani e inglesi di cui vi scrivo ormai da due anni. Ogni giorno ne salta fuori una nuova, per di più, che stufita.

E i piatti che non li sanno lavare bene e li lasciano sempre unti o incrostati, e l’aspirapolvere che non ha senso passarla perché tanto in casa c’è la moquette (APPUNTO!!!), e che se ti chiedo una tachipirina perché ho mal di testa, mi obblighi a prenderla 1000 invece di 500, perché la 500 è la dose per bambini, e tutti insieme appassionatamente a insultarmi perché ne volevo prendere solo una da 500, 'Sei pazza? L’altro giorno ne ho prese 3 e stavo benissimo alla fine”. Io mi sono proprio stufata. E mi dico: stringi i denti, ancora un anno e poi te ne torni a casa.
Ma a casa dove?
Da quegli italiani che ogni volta che ti ritrovi in coda all’aeroporto il tuo volo per Milano è pieno di cafonazzi che non rispettano la fila, e sono scortesi con la hostess, e sono vestiti benissimo sì ma se la menano che ciao proprio.
Da quegli italiani che l’educazione civica è proprio solo una materia che ascolti a mezze orecchie a scuola, e io faccio il mio, tu puoi anche morire che non mi importa?
In quell’Italia che ad ogni alluvione perde un bellissimo paesino, una città, al ritmo di due o tre all’anno? Io odio pure questa Italia. Sì, odio tutti.
Tornare a casa come poi? Eroicamente come Ulisse, o come Nessuno?
Con che coraggio tornerei a casa quando qui ho un lavoro a tempo indeterminato, con ferie, malattia, maternità, aumento di stipendio annuale e se sono brava pure bonus? In cui nessuno mi fa tortura psicologica perché lavori extra orario?
Noi italiani che siamo emigrati all’estero, e che lavoriamo all’estero, siamo ben consapevoli che in Italia è difficile che troveremo una soluzione migliore di quella che abbiamo ora, lavorativamente parlando, nel nostro settore (a ognuno il suo). E anche se fosse migliore, ci sarebbero le tasse che al netto ci toglierebbero anche l’aria da respirare.
Come fate, voi italiani che siete rimasti in Italia? Come fate a sopravvivere, a restare, a stare tranquilli anche nelle preoccupazioni? Ce lo chiediamo tutti noi emigrati.
Poi, come sempre, ci dividiamo in due gruppi di pensiero: quelli che col cavolo che a casa ci tornerò mai, perché non sono disposto a scendere a nessun compromesso. E quelli, come me, che a casa invece ci vogliono proprio tornare, anche scendendo a compromessi.
Che poi, sarà necessario questo scendere a compromessi, per noi? Noi italiani all’estero pecchiamo un po’ di presunzione riguardo a questo tema del tornare a casa: dopo tutta la fatica che abbiamo fatto per integrarci, più o meno, qui, per capire e sostenere un lavoro in un’altra lingua, e soprattutto, per non ferirci ogni volta che ci scontriamo con una differenza culturale, dopo tutto questo noi ci immaginiamo che quando torneremo a casa saremo accolti come eroi. Basso profilo iniziale, e poi braccia spalancate da parte di tutti: come Ulisse, appunto. Perché in inglese siamo fluent per davvero, mica come in metà dei curriculum degli italiani, perché abbiamo scoperto cosa vuol dire lavorare civilmente, perché abbiamo visto e imparato nuovi trend e come sarà il futuro quindi anche in Italia, che all’estero arriva sempre tutto prima, o no?
Un gran peccato, questo. Proprio un gran peccato di presunzione. Perché in realtà di speciale noi italiani all’estero non abbiamo fatto niente di più di tutti gli italiani che lottano per tenersi, o trovare, o ritrovare, un lavoro in Italia. In realtà siamo prorio un bel Nessuno.
Sì, la cultura e la lingua diverse non hanno agevolato il tranquillo scorrere dei nostri giorni fuori patria, questo è un dato di fatto. Eppure pensare che siccome noi siamo passati attraverso tutta questa fatica aggiuntiva allora dovremmo avere corsia preferenziale al nostro ritorno è una balla bella e buona. Anzitutto perché siamo tanti ormai, troppi, noi italiani all’estero. Chiunque tra i miei amici, o quasi, può vantare un’esperienza lavorativa o universitaria oltre confine. Certo, stare per sei mesi non equivale a starci per due anni, senza prospettiva di ritorno se non i sogni fatti di nascosto in cameretta. Questo stare qui a oltranza però non ci rende più speciali, ci rende forse solo più testardi, più realisti, più furbi, più scemi?
Quando penso a queste cose vorrei avere la bacchetta magica e sistemare tutta l’Italia, così noi che siamo andati via potremmo tornare a casa, e voi che siete rimasti non avreste più voglia di partire e andare via. Invece in mano non ho la magia ma solo la fatica data dal duro lavoro, e la fortuna che quando arriva, arriva.
Quando e se proverò, proveremo, a tornare a casa, queste saranno le mie, nostre, uniche armi a disposizione; proprio le stesse armi che hanno in mano gli italiani che sono rimasti in Italia.
Mal comune, mezzo gaudio quindi. Che per me significa una condanna generazionale e io questa cosa la odio. Forse è per questo che odio tutti, gli italiani e gli inglesi, in questo periodo.
Sotto sotto però non demordo. Sì. Io ci credo che presto potremo tornare a casa. Basta volerlo e farsi in quattro, come fanno tutti i Nessuno, e come fanno anche gli Ulisse. Che poi tanto erano la stessa persona.
E se le cose dovessero andare storte, qualcosa saremo capaci di inventarci, come sempre. Come Ulisse.
Sempre devi avere in mente Itaca - raggiungerla sia il pensiero costante. ... Itaca ti ha dato il bel viaggio, senza di lei mai ti saresti messo sulla strada: che cos’altro ti aspetti?
(C. K.)
Originally published on my blog Gufi da Hogwarts, 05/10/2014
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