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Last stop: Londra, si prega di scendere

  • Immagine del redattore: Saz
    Saz
  • 30 ago 2017
  • Tempo di lettura: 5 min

Originally published on 30/08/2017 on Letteradonna.it, © NEWS 3.0 S.p.A. via Garofalo 31, 20133 Milano - P.IVA 07122950962   


Avevo dei colloqui di lavoro fissati a Londra, così sono salita sull'ennesimo aereo, ho rispolverato il guardaroba da ufficio e mi sono presentata con la mia abbronzatura dorata e un sorriso smagliante. Un paio di incontri dopo, mi è arrivata un'offerta: sì, ce l'ho fatta, evviva! Dopo sei mesi e cinque nuovi Paesi visitati, il mio viaggiolibera_mente finisce qui, in Inghilterra, dove è iniziato, con un impiego che si preannuncia sfida stimolante.

Oltre all'insolita velocità del processo di ricerca, la cosa che più mi ha stupita è che durante l'interview nessuno mi ha chiesto di giustificarmi per la mia scelta di qualche mese prima con domande del tipo «Perché, signorina, ha sentito il bisogno di licenziarsi? Quindi mi sta dicendo di avere mollato tutto per partire alla volta dell'Asia? Come mai, cosa è andato storto?».

Tutt'altro. Quando mi è stato mostrato un certo interesse per i miei articoli e per il mio viaggio (sì, ho messo tutto nel curriculum), ho raccontato che mi ero presa qualche mese sabbatico e che nel frattempo avevo deciso di tornare a coltivare la mia carriera giornalistica. «Che bello, ottima idea», è stato il commento che ho ricevuto con un gran sorriso. Ci sono rimasta di smacco.

Ve l'ho già detto altre volte, è tutta colpa dell'etica del lavoro che mi (ci?) hanno impiantato in testa fin da bambini: fai il tuo dovere, sgobba duramente, non mollare mai il colpo o ne pagherai le conseguenze. A leggerla tutta di fila sembra una barzelletta con protagonista il Ragioner Brambilla di Usmate Velate. La più grande paura che avevo quando mi sono licenziata, e per tutti i mesi successivi, non era soltanto quella di non riuscire più a trovare un'occupazione, ma soprattutto quella di non poter essere più considerata una candidata valida proprio perché donna, di 31 anni, disoccupata per scelta.

Come al solito, ho potuto contare sulla grande apertura mentale degli inglesi (persino ora, in tempi di Brexit): non importa l'età, non te la chiedono neanche; ciò che conta sono le tue esperienze professionali e personali, nella misura in cui sono relative alla posizione per cui ti stai candidando. Sta a te proporti per quelle aperte che più si allineano con il tuo cv, il resto lo fanno le tue competenze e la solita buona dose di fortuna.


Licenziarsi, non faticare per un po', ricominciare a cercare un impiego e trovarlo: è tutto normale, pare, per lo meno in Inghilterra. Io ancora stento a crederci, tuttavia mi è successo. Mi domando se, in caso avessi dovuto affrontare una selezione in Italia, il dialogo si sarebbe svolto allo stesso modo: non lo scoprirò neanche questa volta. Eppure, credetemi, un'attività remunerata l'ho cercata anche a Milano; peccato che fosse estate, che le cose procedessero a rilento, che la condanna nazionale ad andare tutti in vacanza durante le stesse settimane abbia mandato ancora una volta il mio cervello in esilio all'estero. Altri nove mesi a Londra, sono pronta. Sì, solo nove, per ora. Perché se da una parte, dopo tanto gironzolare, sento il bisogno di fermarmi, dall'altra non sono certa di voler vivere per sempre nella City: quindi via libera ai contratti a tempo determinato e la sensazione dopo avere firmato è che sia la scelta migliore che potessi prendere in questo momento.


Ho sempre associato l'idea di sentirsi liberi alla spensieratezza della gioventù e all'indipendenza economica, e, paradossalmente, allo scoccare dei 30 anni di età ho deciso di dilapidare le mie finanze per tornare a provare il brivido del tutto è possibile, perché la staticità spegne la creatività e perché «se non ora, quando». Sei mesi dopo, noto con sorpresa che il mio concetto di libertà è rimasto parzialmente immutato sebbene con una grande, grandissima differenza: il «se non ora, quando» non c'è più. Potrà suonare ridondante ma mi è bastato andare via per capire che sì, partire è possibile!

Un giorno sono salita su un aereo e mi sono ritrovata a Nuova Delhi, a Bangkok, a Kuala Lumpur, a Singapore, a Bali.E anche posti così lontani e all'apparenza inaccessibili, all'improvviso si sono spostati tutti alla mia portata.

È vero, non sempre sarà possibile mollare tutto e andarsene, né sarà necessario; eppure viaggiando mi sono resa conto che molti dei limiti che ci imponiamo ogni giorno sono soltanto il risultato della cultura, delle abitudini sociali del luogo in cui siamo cresciuti o viviamo e delle aspettative che gli altri hanno su di noi. In realtà basta spostarsi un po' di latitudine e longitudine, o frequentare una persona di un'altra nazionalità, per rendersi conto che ciò che per noi è normale, in molti altri posti non lo è affatto: un concetto tanto scontato quanto difficile da accettare senza avere vissuto sulla propria pelle le difficoltà e le sorprese che lo accompagnano.


Io, per esempio, dopo tante avventure ho imparato una lezione: sì, ho viaggiato in lungo e in largo attraverso l'Asia con una naturalezza che non mi aspettavo e tenendo sempre gli occhi bene aperti per farci entrare tutto lo stupore della bellezza e della diversità; sì, ci sono tanti posti del mondo in cui mi piacerebbe vivere almeno per un po'; sì, la monotonia decisamente non fa per me. Eppure no, sento di non potere accettare il senso di sradicamento di una vita in stile nomade: per il momento, il prezzo di questo tipo di libertà mi sembra troppo caro da pagare a livello di affetti e di identità. Per questo ho deciso di fermarmi per un po'. Remy, invece, si è confermato viaggiatore incallito e presto partirà di nuovo per l'India: ancora non lo so se sia l'uomo della mia vita ma dopo la nostra avventura posso affermare con certezza che sia il mio migliore amico - nella gioia e nel dolore - e che non vedo l'ora di andare a trovarlo in uno di quei posti meravigliosi che ha l'abitudine di scegliere per vivere.

Così eccomi qui, pronta a ricominciare. A marzo mi trovavo in cima a una montagna senza sapere da che parte girarmi per poter continuare a salire, poi ho deciso di imboccare l'unico sentiero possibile: quello della discesa. Ci ho camminato con piacere e ho intenzione di continuare a passeggiarci per i prossimi nove mesi; mi porterà a valle e una volta arrivata, spero, sarò pronta ad affrontare una nuova salita, grazie a tutto quello che avrò imparato nel mio viaggiolibera_mente e in questo nuovo lavoro.

Quanto al mondo, ora lo so, resterà sempre lì, alla mia portata: non più sogno irrealizzabile ma un altro viaggio possibile, liberamente con lo zaino in spalla o nella forma di una nuova occasione professionale, qui o là, all'infinita ricerca di nuove opportunità di crescita e di scambio.


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