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Cosa fanno veramente gli italiani all'estero: colmano abissi culturali

  • Immagine del redattore: Saz
    Saz
  • 2 feb 2014
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 13 feb 2018


La settimana scorsa hanno spopolato sul web due articoli de Il Fatto Quotidiano che davano visioni contrapposte riguardo a come gli italiani che vivono all'estero passino abitualmente il proprio tempo. Da una parte si sosteneva che gli italiani all'estero non fanno altro che stare con altri italiani, mangiano solo cibo italiano, se vivono nel Nord Europa o in Canada si lamentano del freddo, se sono in Australia svolgono lavori umili che in Italia non si sarebbero mai sognati manco di avvicinare. Soprattutto, gli expat in Italia per Natale - fetta di salame alla mano - guardano dall'alto in basso i connazionali rimasti a casa, con tutti i problemi della politica nostrana. Dall'altra c'è chi ha sostenuto che gli italiani all'estero sono sì interessati a ciò che succede in Italia ma perché amano il loro Stato e lo ameranno per sempre, e vogliono sapere rispondere debitamente a qualunque straniero chieda con un ghigno di derisione: Ma perché Berlusconi non è ancora in prigione? (Succede più o meno ogni volta che si incontra una persona nuova).

In quanto espatriata, vorrei dire la mia in materia. La verità è che l'unica verità sugli italiani all'estero è una: in quanto sradicati e inseriti in una società con regole diverse da quelle italiane, passano il loro tempo a cercare di colmare abissi culturali.

Gli italiani all'estero devono dare un nuovo senso a una vita nata e cresciuta da un'altra parte, che sembrava così piena di verità assolute che però a un certo punto hanno scoperto che qui non gli servono poi tanto. Sto parlando di cose basilari, come è per chi vive in Italia sapere chi sono: Pippo Baudo, i Cugini di Campagna, Mina, Garibaldi, che festa è il 2 di giugno, cosa sia Ferragosto, che la pasta va buttata nell'acqua solo quando bolle, che i biglietti del pullman non si possono comprare sui pullman a Milano, l'iconicità del caschetto biondo della Carrà, quando fare il 730, la morale è sempre quella fai merenda con Girella, chi è Tatiana, chi sia Roberto delle televendite, le sigle dei cartoni animati, la gobba di Leopardi, Rita Levi Montalcini, modello Giuditta, Ambrogio ho un leggero languorino, dire sempre per favore e per piacere. Va da sé che queste sono cose che si imparano in una vita intera. Va da sé anche che se a un certo punto prendi tutte queste belle cose e vai a vivere in Inghilterra, come ho fatto io, sapere chi siano i Jalisse all'improvviso diventa quasi inutile.

La cultura di un Paese straniero, come lo è quella italiana in Italia, non può che essere estremamente nazionalista. Guardate che non è mica semplice. Non è solo una questione linguistica, che è già abbastanza complessa in sé: per esempio riuscire a imparare come si dice 'prendere in giro' (to take the Mickey out of), o capire che dire Thanks God è sbagliato (lo fanno tutti gli italiani) perché la S non ci va. Parlo di profondissimi abissi culturali di cui non abbiamo colpa, non perché non abbiamo studiato bene a scuola ma perché è improbabile sapere cosa sia la Burns' night (festa scozzese dedicata al poeta Robert Burns), o quale canzone tutti i peggiori e migliori locali suonino a mezzanotte a Capodanno (no, non è Brigitte Bardot Bardot ma Auld Lang Syne - e la gente si abbraccia e canta in coro, non fa il trenino).

Ci sono dei momenti in cui di fronte a questi buchi neri di conoscenza è facile buttarsi giù di morale.

A me succede sempre quando vado in discoteca a ballare e parte la musica revival. Perché no, gente, suppongo immaginiate che qui non suonino Bandiera Gialla e Viola Valentino. Qui suonano delle canzoni a me completamente sconosciute che però, siccome sono revival, tutti sanno a memoria. E se con Hey baby, I wanna know if you'll be my girl me la cavo, e pure con I will survive, e il balletto di Saturday Night tiririrarirarara è lo stesso dappertutto, arriva sempre un momento in cui non posso fare a meno di sentirmi diversa. E' quando suonano la sigla di Willy il principe di Bel Air. La sappiamo tutti a memoria no? Hey questa è la maxistoria di come la mia vita cambiata, capovolta, sotto sopra sia finita. Beh la sanno parola per parola tutti anche qui. Solo che in inglese. E io resto lì, unica a cantare parole diverse dagli altri che quando se ne accorgono si mettono a ridere o mi guardano con pietà perché pensano che il testo me lo stia inventando. Brutto eh?


Per questo gli italiani all'estero tendono a stare spesso con altri italiani. Ne hanno bisogno, tra una serata e l'altra con i loro amici stranieri. Solo tra connazionali si possono decifrare certi codici comunicativi, e persino quali siano i mezzi e i modi migliori per far funzionare la comunicazione. La regola identitaria è: prima l'Italia, dopo la città - con il conseguente sbiadimento delle differenze regionali in nome della pizza.

Solo a volte dialetti, accenti e diversi parametri di estetica e giudizio si scontrano anche tra italiani all'estero, come se ci trovassimo davanti delle macchiette regionali fatte e finite, tutti però pronti a abbracciare nuove tradizioni e usanze culturali, dipingendo nuovi strati sopra la - imprescindibile e indissolubile - propria identità di milanesi, napoletani, bolognesi e romani. E comunque, questi abissi culturali che ti fanno sorridere quando gli altri sorridono anche se non hai capito perché, piano piano si colmano.

Ma siccome non ci si può fare granché in tempi brevi, scusateci italiani che vivete ancora in Italia se ogni tanto ci viene da lamentarci della qualità della verdura o del tempo pazzo piuttosto che stare lì a raccontarvi le decine di misunderstanding che dobbiamo affrontare ogni giorno.

Eppure decidiamo di restare, perché ci rendiamo conto che risalendo la china dell'abisso quello che ci guadagniamo è un sacco di conoscenza in più, e la capacità di affrontare situazioni imbarazzanti con dignità anche se non sappiamo ancora dire la parola giusta al momento giusto.

Perché alla fine siamo o non siamo italiani? Comunque vada ce la caviamo in ogni situazione, e l'accento con cui parliamo in inglese resta sempre il più bello, lo dicono tutti - (Badaba Bupi a voi).


Originally published on my blog Gufi da Hogwarts, 02/02/2014

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