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Bramina d'adozione

  • Immagine del redattore: Saz
    Saz
  • 19 apr 2017
  • Tempo di lettura: 4 min

Originally published on 19/04/2017 on Letteradonna.it, © NEWS 3.0 S.p.A. via Garofalo 31, 20133 Milano - P.IVA 07122950962   



Mi trovo a Nuova Delhi, in India. Sono le 10 del mattino di un giorno di aprile, ci sono 28 gradi. Di fianco a me sul divano ci sono Remy, il mio fidanzato, sua zia e sua nonna, proprietaria della casa che ci ospiterà per alcune notti. Dalla stanza entra ed esce Ganesh, un cameriere indiano che indossa una maglietta sportiva blu acceso: ci porta del delizioso chai – the con latte e tanto zucchero, pane tostato e yogurt fatto in casa. Mi sento in una piccola alcova calda, ancora stropicciata dalle otto ore di volo da Milano: casa di Nani (nonna) è il mio primo riparo indiano, lontana dal bagno di folla, auto e risciò della città vecchia. Non mi renderò conto della preziosità di questo riparo fino al momento in cui io e Remy lasceremo Delhi, all’avventura.

Per ora mi accorgo che casa di Nani è il regno del potere femminile: una matriarca di 93 anni, vedova da oltre 40, cresciuta a Londra, di famiglia Bramini, la casta più alta della vecchia società indiana - sacerdoti e insegnanti.

Dalla morte del marito, un uomo indiano che si è fatto da solo investendo in proprietà tra India e Regno Unito, Nani ha gestito in modo impeccabile il patrimonio immobiliare. Ha una mente sveglia e portata alla matematica e nonostante le falle dell’età e un po’ di sordità, viaggia ancora in Inghilterra quasi ogni anno. Al nostro arrivo a Nuova Delhi la sua preoccupazione maggiore è quella di rinnovare il passaporto prossimo alla scadenza. La decadenza del suo impero però, ancorato a una società indiana in evoluzione, non è un mistero: «Non ci sono più i servi di una volta», commenta rimbeccando il nuovo cuoco perché ha messo troppe patate e pochi piselli nel curry. Sebbene la tradizionale divisione della società indiana in caste sia stata abolita nel 1950 con l’Indipendenza dal Regno Unito e la nuova Costituzione, la separazione sociale e culturale tra individui è rimasta un’abitudine difficile da scacciare: l’abissale differenza di stile di vita e opportunità tra ricchi e poveri indiani ha un che di gattopardiano - gli indiani han cambiato tutto affinché tutto restasse uguale. Così ci sono ancora persone che prestano servizio nelle case delle famiglie più benestanti, solo non offrono la stessa dedizione smisurata dei propri avi e anche se Nani se ne è ormai accorta da tempo, non c’è altro possibile modo in cui vivere per lei, qui, se non con cuoco, autista, cameriere e tuttofare.

Così anche io mi ritrovo ad avere stanza e bagno ripuliti da cima a fondo ogni mattina e il servizio al tavolo a ogni pasto, rigorosamente vegetariano da buona tradizione Hindu. Ogni cinque minuti ci vengono portati al tavolo dei roti ancora caldi, appena preparati – delle mini piadine che pezzo per pezzo fanno le veci di forchette e cucchiai (anche se al tavolo ci sono tutte le posate del caso).


Nani osserva e, indulgente, chiede a gran voce al povero Ganesh di riempirmi il piatto ancora una volta e di portare più tovagliolini di carta, perché io, inesperta del cenare con le mani, sento continuamente l’esigenza di pulirmele, quasi a ogni boccone. «Bas, bas, per favore», - chiedo a fine pasto (basta grazie, sono pienissima! È proprio vero che le nonne tendono a ingozzarci amorevolmente di cibo, in tutto il mondo). Dopo cena è lei la prima ad alzarsi per andare a lavarsi le mani. Vivere a casa di Nani mi fa sentire quasi come una donna della buona società di Delhi: indossano punjabi (tunica sopra pantaloni e scialle) eleganti e se ne vanno dal parrucchiere, poi pranzano con le amiche negli hotel di lusso in stile coloniale. Nel pomeriggio passano in pasticceria per gustare uno dei tanti dolcetti pieni di zucchero e ogni sera alle sette vanno al tempio per la pooja (preghiera); si passano un dito in mezzo agli occhi lasciando una traccia rossa e respirano la benedizione che arriva dal fuoco acceso.

Non è facile in realtà essere donna in India, Paese in cui la disparità tra sessi è ancora abissale. Anche nella moderna Delhi gli episodi di stupro sono aumentati negli ultimi anni: da 706 nel 2012 a 2199 nel 2016 (fonte Hindustan Times). Nonostante i numeri siano influenzati dalla quantità maggiore di donne che ha preso coraggio e ha denunciato le violenze dopo alcuni episodi incresciosi avvenuti in città, la situazione resta drammaticamente sbilanciata.

Alcuni luoghi di culto non possono ancora essere visitati da donne non accompagnate e nel corso del mio viaggio non mancherò di vedere turiste che assumono una guida locale, uomo, per farsi accompagnare in giro e sentirsi al sicuro.

Più passano i giorni più mi sento fortunata perché sto viaggiando con Remy che non solo è uomo ma ha anche origini indiane. Basta il mio primo pomeriggio in Delhi vecchia a convincermi. Lo stato in cui versano le strade indiane l’abbiamo sempre visto solo nei film, e meno male perché altrimenti non ci si potrebbe credere: l’odore di smog entra così a fondo nelle narici che procura mal di testa fino al mattino dopo; il suono dei clacson è talmente insistente, costante e arbitrario, che il rientro a casa di Nani sembra l’unica cosa in grado di salvare mente e corpo dalla perdizione del caos.

Il nostro viaggio però è lungo e abbiamo un treno che ci aspetta alla volta di Agra, sede del Taj Mahal, e di Jaipur, la città rosa. Andiamo alla stazione e saliamo in uno scompartimento da sei un po’ affollato: a farci compagnia due famiglie con bambini, uno scarafaggio e due hijra (tradizionalmente ermafroditi, oggi a volte transessuali) che ammiccano a Remy. Siamo fuori dal mondo ovattato, si comincia a viaggiare.


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